Sal Comodo

CEO e founder

L'intervista, uno spazio in cui l'altro esiste

2 apr 2025

Le parole degli altri sono un dono: vanno accolte con rispetto e silenzio.

Green Fern
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L'intervista, uno spazio in cui l'altro esiste

2 apr 2025

Le parole degli altri sono un dono: vanno accolte con rispetto e silenzio.

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Ascoltare davvero qualcuno è uno dei gesti più semplici e insieme più rivoluzionari della comunicazione.

Viviamo in un tempo in cui si parla molto. Si scrive, si posta, si commenta. Si reagisce in fretta. Ma ascoltare — ascoltare con attenzione, con rispetto, con silenzio — è diventato un gesto raro. Eppure, l’intervista nasce proprio da lì: dall’arte di sapersi fare da parte, per lasciare spazio all’altro. Perché ogni storia ha il diritto di essere raccontata, e ogni voce merita un momento in cui sentirsi ascoltata davvero.

Conversare e sentire le persone

Intervistare qualcuno non è solo un esercizio di raccolta informazioni, né una tecnica da manuale. È un atto di fiducia reciproca. Un incontro. Un tempo sospeso in cui due persone si trovano — una per raccontare, l’altra per comprendere — nel tentativo di dare forma a un pensiero, a un ricordo, a un’identità.

L’intervista non è mai solo quello che si dice, ma anche quello che accade tra le righe. Un gesto con le mani, un’esitazione, una pausa che dice più di cento parole. È lì che si nasconde la verità del racconto. E il compito di chi conduce l’intervista è saperla riconoscere, senza forzarla. Con discrezione e con cura.

Ci sono voci che non si sono mai sentite importanti, e che nell’intervista trovano per la prima volta uno spazio, una luce. Ci sono storie che sembrano piccole ma che, ascoltate bene, contengono qualcosa di universale. Ogni vita, se raccontata con onestà, può insegnare qualcosa. L’intervista è uno strumento che, se fatto bene, restituisce dignità, connessione, memoria.

E poi c’è un altro aspetto, forse ancora più delicato. Quando si lavora con le parole degli altri, bisogna portarle come si porterebbe una fotografia cara. Con rispetto. Con la responsabilità di non tradirle, di non modificarle per piegarle a un effetto. L’intervista non è mai nostra. È sempre dell’altro. Di chi si fida e si affida. Per questo va trattata con grazia, senza rumore, senza protagonismo.

In un mondo dove l’algoritmo decide il tempo dell’attenzione, fermarsi ad ascoltare qualcuno per intero è quasi un atto di resistenza. E raccontare bene quell’ascolto è un mestiere che richiede tempo, pazienza, empatia. Ma che sa ancora creare valore. Per chi legge, per chi parla, per chi — con umiltà — sta nel mezzo e si limita a passare la parola.

Ascoltare davvero qualcuno è uno dei gesti più semplici e insieme più rivoluzionari della comunicazione.

Viviamo in un tempo in cui si parla molto. Si scrive, si posta, si commenta. Si reagisce in fretta. Ma ascoltare — ascoltare con attenzione, con rispetto, con silenzio — è diventato un gesto raro. Eppure, l’intervista nasce proprio da lì: dall’arte di sapersi fare da parte, per lasciare spazio all’altro. Perché ogni storia ha il diritto di essere raccontata, e ogni voce merita un momento in cui sentirsi ascoltata davvero.

Conversare e sentire le persone

Intervistare qualcuno non è solo un esercizio di raccolta informazioni, né una tecnica da manuale. È un atto di fiducia reciproca. Un incontro. Un tempo sospeso in cui due persone si trovano — una per raccontare, l’altra per comprendere — nel tentativo di dare forma a un pensiero, a un ricordo, a un’identità.

L’intervista non è mai solo quello che si dice, ma anche quello che accade tra le righe. Un gesto con le mani, un’esitazione, una pausa che dice più di cento parole. È lì che si nasconde la verità del racconto. E il compito di chi conduce l’intervista è saperla riconoscere, senza forzarla. Con discrezione e con cura.

Ci sono voci che non si sono mai sentite importanti, e che nell’intervista trovano per la prima volta uno spazio, una luce. Ci sono storie che sembrano piccole ma che, ascoltate bene, contengono qualcosa di universale. Ogni vita, se raccontata con onestà, può insegnare qualcosa. L’intervista è uno strumento che, se fatto bene, restituisce dignità, connessione, memoria.

E poi c’è un altro aspetto, forse ancora più delicato. Quando si lavora con le parole degli altri, bisogna portarle come si porterebbe una fotografia cara. Con rispetto. Con la responsabilità di non tradirle, di non modificarle per piegarle a un effetto. L’intervista non è mai nostra. È sempre dell’altro. Di chi si fida e si affida. Per questo va trattata con grazia, senza rumore, senza protagonismo.

In un mondo dove l’algoritmo decide il tempo dell’attenzione, fermarsi ad ascoltare qualcuno per intero è quasi un atto di resistenza. E raccontare bene quell’ascolto è un mestiere che richiede tempo, pazienza, empatia. Ma che sa ancora creare valore. Per chi legge, per chi parla, per chi — con umiltà — sta nel mezzo e si limita a passare la parola.

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